L’AFORISMA E IL TEMA DEL LAVORO;
UN RAPPORTO INDISSOLUBILE, ANTICO E MODERNISSIMO
Da un approfondito studio di Amedeo Ansaldi
……..Il lavoro è una delle nostre attività prevalenti, assorbendo di regola più di metà delle ore di veglia, ed è uno degli aspetti principali della vicenda umana. È naturale che da sempre si siano scritti libri, saggi, e quindi anche aforismi, non solo in ambito strettamente economico, su questo argomento, peraltro sterminato.
Il lavoro è, in primo luogo, una necessità, alla quale non possiamo sottrarci se non altro per il soddisfacimento dei bisogni elementari dell’esistenza quali mangiare, vestirci, avere un ricovero, ecc. Nel lavoro il Vecchio Testamento vedeva proprio il castigo divino al quale l’uomo venne condannato dopo il peccato originale. In Genesi è scritto: Poiché tu hai ascoltato la voce di Eva e hai mangiato del frutto dell’albero, la terra sarà maledetta per cagion tua; con lavoro faticoso trarrai da quella il tuo nutrimento per tutti i giorni della tua vita; essa ti produrrà spine e triboli; ti nutrirai dell’erba dei campi, col sudore della tua fronte mangerai il pane finché non ritornerai alla terra, da cui fosti tratto, poiché tu sei polvere e polvere ritornerai.
Quindi, il lavoro come fatica, tribolo, maledizione. E come punizione. Poiché è per l’uomo, dal momento stesso in cui fu cacciato dal giardino dell’Eden, una necessità inderogabile (l’inventore statunitense Thomas Edison scrisse che Non esiste un surrogato del lavoro duro, spesso è stato formulato l’invito imperioso a dedicarvisi con piglio, energia, impegno, determinazione, vincendo la connaturata pigrizia. Dante colloca gli accidiosi nel quinto cerchio dell’inferno insieme agli iracondi e nella quarta cornice del purgatorio. Franz Kafka, imbevuto di spirito talmudico, nei suoi Aforismi di Zuerau, ammonisce che Lavoro lungo è soltanto quello che non si osa cominciare. E il poeta statunitense Ezra Pound sostiene che Il vero lavoro di un uomo è quello che egli sta per fare, non ciò che è dietro di lui. Mentre il grande umanista Francis Bacon sosteneva che Un giovane d’anni può esser vecchio di ore, se non ha perduto tempo. Quindi la vita, consacrandosi alla propria opera, è meno corta di quanto generalmente non si creda. Il poeta decadente Charles Baudelaire, che ben conosceva lo spleen (umor tetro caratterizzato da malinconia, insoddisfazione, noia), era consapevole che Non si può dimenticare il tempo se non facendone uso.
Che sono, poi, altrettanti inviti ad affrontare il lavoro di petto e senza indugi.
Dalla visione del lavoro a cui abbiamo poc’anzi accennato deriva il concetto negativo che tanto spesso è associato all’ozio: il filosofo e inventore americano Benjamin Franklin diceva che L’ozio cammina così lentamente, che tutti i vizi lo raggiungono. E a detta dell’archeologo John Lubbock L’uomo ozioso non sa cosa vuol dire godere del riposo, perché non se l’è guadagnato.
Bisogna d’altra parte riconoscere al lavoro, amara necessità, il pregio di farci in qualche modo passare il tempo (anche quando, lasciati liberi, non sapremmo come impiegarlo) e di contribuire a sconfiggere la noia, un male contro il quale non tutti gli spiriti sono altrimenti attrezzati.
Molti scrittori e intellettuali hanno appunto capovolto i termini della questione, opponendo – per celia ma non solo – obiezioni al lavoro inteso come valore assoluto, e rivalutando, almeno in parte, l’ozio.
Insomma, non sempre dal confronto fra ozio e lavoro quello che esce meglio è quest’ultimo.
Se Cicerone diceva che Non mi sembra un uomo libero quello che non ozia di tanto in tanto, è noto che il filosofo francese Blaise Pascal si spingeva ancora più in là, convinto com’era che Tutti i problemi dell’uomo provengano dal non saper star fermo in una stanza. Se ne fosse capace, non ci sarebbero rovinose ambizioni, invidie, guerre.
Altri parteggiano apertamente per la superiorità dell’ozio rispetto al lavoro, vedendo in quest’ultimo poco più che un espediente a cui l’uomo è condannato per vincere il tedio, la noia, appunto lo spleen:
Il romanziere Aldous Huxley scrisse: Il lavoro non è più rispettabile dell’alcool, e serve esattamente allo stesso scopo: stordisce semplicemente la mente.
E Alessandro Morandotti: Tutti sono capaci di lavorare. Pochi conoscono l’arte dell’ozio.
Hermann Hesse sottolineava esplicitamente che La vita delle persone che lavorano è noiosa. Interessanti sono solo le vicende e le sorti dei perdigiorno.
Molti evidenziano come gli uomini spesso tendano a oberarsi volontariamente di lavoro perché in sua mancanza cadrebbero preda di un tedio irrimediabile; quindi non per operosità naturale, ma per il timore della compagnia intollerabile di sé stessi:
Eugenio Montale si domandava: Perché si lavora? Certo per produrre cose e servizi utili alla società umana, ma anche, e soprattutto, per accrescere i bisogni dell’uomo, cioè per ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo.
L’operosità senza scopo non è meno pazzesca di un godimento senza freni, sosteneva lo storico svizzero Johannes von Müller. Gli fa eco Jules Renard: Il lavoro continuo è stupido come il riposo continuo.
Altri aforismi di analogo tenore:
La noia è una malattia di cui il lavoro è un rimedio; il piacere è soltanto un palliativo. (Il politico francese Pierre-Marc-Gaston de Lévis)
Per sottrarsi alla fatica di pensare, i più sono persino disposti a lavorare. (Alessandro Morandotti)
I moralisti che decantano il lavoro mi fanno pensare a quei tipi che sono stati ingannati dal richiamo di un baraccone di fiera e, per vendicarsi, cercano di farci entrare anche gli altri. (sempre Jules Renard)
Dall’alto della sua visione aristocratico-reazionaria, il colombiano Nicolas Gomez Davila, il maggiore aforista sudamericano, sosteneva che La cultura non riempirà mai l’ozio del lavoratore poiché non è altro che il lavoro dell’ozioso.
Altri tessono l’elogio dell’ozio in termini tra il serio e il faceto:
La cosa più deliziosa non è non aver nulla da fare: è aver qualcosa da fare, e non farla, sostiene il drammaturgo francese Marcel Achard.
Jerome K. Jerome, autore di Tre uomini in barca, confessava: Mi piace il lavoro, mi affascina completamente. Potrei rimanere seduto per ore a guardare gli altri che lavorano.
E Karl Kraus, il grande aforista ebreo-austriaco, autore di Detti e contraddetti, sosteneva, in tono scherzoso, ma fino a un certo punto, che La democrazia divide gli uomini in lavoratori e fannulloni. Non è attrezzata per quelli che non hanno tempo per lavorare.
Una delle vittime predestinate dell’ironia, o anche del sarcasmo, dell’aforisma non poteva che essere la meschinità, i calcoli di bottega, a cui il commercio tanto spesso induce gli uomini.
Per il mercante persino l’onestà è una speculazione finanziaria. (Charles Baudelaire)
È solo non pagando i propri debiti che si può sperare di vivere nella memoria di un commerciante. (Oscar Wilde)
Quando la vendita viene conclusa, finisce l’ansia del venditore e comincia quella del cliente, sostiene l’economista Theodore Levitt, cui dobbiamo, fra l’altro, il conio del termine: globalizzazione.
Quando qualcuno tenta di venderti qualcosa, non t’immaginare che sia sempre così gentile, avverte lo scrittore Edgar Watson Howe.
Ce n’è anche per i clienti:
Il cliente che paga di meno è quello che si lamenta di più. (Arthur Bloch, autore del fortunatissimo La legge di Murphy)
Ma anche altre figure professionali sono incorse negli strali feroci dell’aforisma:
Il cosiddetto specialista:
Il costo di una expertise è inversamente proporzionale al numero di parole comprensibili. (Arthur Bloch)
Un esperto è una persona che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di nulla. (Bloch)
Il banchiere:
Niente spinge a commettere crimini finanziari più di una grande miseria o di una grande ricchezza. (Mark Twain)
Che cos’è rapinare una banca, in confronto al fondarla? (Brecht)
L’avvocato:
Nei Promessi sposi Azzeccagarbugli ammonisce Renzo con queste parole: Bisogna sempre dire chiaramente e francamente le cose al proprio avvocato, ci penserà lui, poi, a imbrogliarle. (Alessandro Manzoni)
Se vuoi fare qualcosa contro la legge, prima consulta sempre un bravo avvocato. (George Bernard Shaw)
Jules Renard rilevava che Non ho mai visto un avvocato così onesto da chiedere la condanna del suo cliente.
Ed ecco una definizione di avvocato data da Franz Kafka: Avvocato: una persona che scrive un documento di 10.000 parole e l’intitola “Sommario”.
Il giornalista:
Non avere un pensiero e saperlo esprimere – è questo che fa di un uomo un giornalista. (Kraus)
Il medico:
Proverbiale è l’avversione di Molière per i dottori. A proposito di un medico, un personaggio del Malato immaginario dice: Ne deve aver ammazzata di gente per essere diventato così ricco.
Quasi tutti i medici hanno la loro malattia preferita. (Henry Fielding)
Quanto più numerosi gli avvocati, tanto più lungo il processo; quanto più numerosi i medici, tanto più breve il processo. (M. G. Saphir)
Filippo Pananti scrive: E se in man di due medici è un malato, suonate a comunion, quell’uomo è andato.
Nietzsche ammonisce: Bisogna essere nati per il proprio medico, altrimenti si perisce a causa del proprio medico.
Neanche Jean-Jacques Rousseau aveva eccessiva stima per i dottori: La medicina, arte perniciosa che pretende di guarire gli uomini da tutti i mali. Non so, per parte mia, di quali malattie i medici ci guariscano, ma so che ce ne danno di ben funeste: la vigliaccheria, la pusillanimità, la credulità, il terrore della morte; se guariscono i corpi, uccidono il coraggio.
Un concetto sostanzialmente ripreso da Guido Ceronetti: La scienza fa che i cuori battano più a lungo – ma li ha avviliti. Paghiamola senza ringraziarla.
Naturalmente di tutt’altro tono, com’è giusto, gli aforismi su operai e manovali, improntati al rispetto per chi compie i lavori di maggior fatica e minor soddisfazione.
L’operaio conosce la domenica meglio del prete, scrive Mirko Badiale.
Giuseppe Garibaldi dice nelle sue memorie: Non sono nato alle pubbliche assemblee; ma se v’è radunanza alla quale ami trovarmi, è quella degli operai. In mezzo a quei semplici cuori, io mi sento in famiglia.
Già Thomas Carlyle, prima metà dell’’800, prevedeva il declino del lavoro manuale, e più in generale la disumanizzazione delle attività produttive: Da ogni parte si è cacciato via il vivente artigiano per far posto a un operaio senz’anima ma più veloce. La spoletta sfugge alle dita del tessitore e cade tra dita d’acciaio che la fanno girare più rapidamente.
Un altro aspetto che è stato non di rado velenosamente sottolineato è l’incongruenza che tanto spesso sovrintende all’assegnazione degli incarichi e delle cariche, anche di quelle più importanti (per es. un ministero).
In una gerarchia ognuno sale e sale finché raggiunge il suo grado d’incompetenza. (Laurence Peter e Raymond Hull)
Chi sa fare, fa. Chi non sa fare, insegna. (Arthur Bloch)
Laddove delegare è facile, la responsabilità, come un sedimento, precipita verso il basso. (Arthur Bloch)
E come dice un personaggio del Matrimonio di Figaro di Beaumarchais: Si pensa a me per un posto, ma disgraziatamente ero adatto; c’era bisogno di uno che sapesse far di conto, lo ebbe un ballerino.
Luigi XIV, il Re Sole, si lamentava che: Ogni volta che assegno una carica vacante, creo cento scontenti e un ingrato.
Lavoro e consumismo
Già Karl Marx ammoniva che Il commercio mondiale è imperniato quasi interamente su dei bisogni: bisogni non del consumo individuale, ma della produzione. Cioè bisogni indotti artificialmente, non naturali.
Dal suo punto di vista molto diverso di cattolico reazionario Gomez-Davila giungeva a conclusioni non molto dissimili: “Se per sfruttare l’uomo certuni predicano la rinuncia ai beni terreni; altri, per sfruttarlo meglio, lo invitano a desiderarli.”
Il profeta del ’68, il filosofo francese Herbert Marcuse illustra così il doppio volto del mondo moderno: Questa società cambia tutto ciò che tocca in una fonte potenziale di progresso e, insieme, di sfruttamento; di fatica miserabile e di soddisfazione; di libertà e d’oppressione.
Qualcosa di analogo sosteneva anche uno degli esponenti più autorevoli della scuola di Francoforte, sempre di ispirazione marxista:
Il cieco sviluppo della tecnica rafforza l’oppressione sociale, e a ogni passo lo sfruttamento minaccia di trasformare il progresso nel suo contrario, la barbarie completa. (Max Horkheimer)
La stessa globalizzazione sembra aver fornito ai potenti nuove possibilità di sfruttamento su scala planetaria: I principi dello sfruttamento si sono trasferiti, attraverso il meccanismo della ‘globalizzazione’, in luoghi dove la maggior parte di noi non può vederli, scrive lo psicologo britannico David Smail.
Un pensiero controcorrente e decisamente poco politicamente corretto, se non paradossale, è quello espresso dal personaggio di una pièce del commediografo francese Alfred Capus. Può essere tuttavia interessante citarlo per gli spunti di riflessione che offre anche oggigiorno: Lo sfruttamento degli imbecilli? Ma gli imbecilli sono sempre stati sfruttati; come è giusto. Il giorno che si smettesse di sfruttarli trionferebbero, e il mondo sarebbe perduto.
Un divertente aforisma anonimo, o meglio attribuito a moltissimi, tanto spesso è citato, così da essersi perduta la memoria di chi l’ha originariamente coniato, illustra le – dubbie – differenze fra capitalismo e comunismo sotto questo stesso riguardo: Il capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, mentre il comunismo è l’esatto contrario.
Dopo aver accennato al consumismo, la pubblicità, precisamente uno dei mezzi più potenti attraverso i quali si impone una visione consumistica a una società:
Come scrisse il pubblicitario francese Marcel Bleustein: La pubblicità è vendere aria, ma è proprio quell’aria che fa girare il mulino.
Un caustico aforisma anonimo recita: La pubblicità ha lo scopo di indurre la gente a comprare delle cose di cui non ha bisogno, con denaro che non ha, per impressionare altre persone che le sono odiose.
Se un inveterato luogo comune vuole che la pubblicità sia l’anima del commercio, secondo l’umorista Marcello Marchesi La pubblicità è il commercio dell’anima.
La pubblicità è un mezzo studiato per rendervi scontenti di ciò che avete e farvi desiderare ciò che non avete, scrive l’economista e filosofo Serge Latouche. E un altro economista, Bernard Maris: L’attività dei commercianti e dei pubblicitari consiste essenzialmente nel creare bisogni in un mondo che crolla sotto il peso delle produzioni.
I tempi del lavoro, oggi, in un contesto sempre più spietatamente concorrenziale, si sono drammaticamente contratti; già nell’’800 John Ruskin deplorava la fretta che sembra caratterizzare l’epoca moderna: Vi fu sempre di più nel mondo di quanto gli uomini potessero vedere, per quanto lenti andassero; non lo vedranno meglio andando veloce.
Fretta che spesso va a scapito della fase progettuale, cioè delle riflessioni che sempre, in ogni campo, dovrebbero precedere la messa in opera. Jules Renard diceva: “Aspetto, per lavorare, che il mio soggetto mi lavori.”
Lo scrittore e giornalista Massimo Fini evidenzia il curioso, odierno capovolgimento della natura delle cose, un controsenso che ha risvolti anche drammatici (cito a memoria): noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per produrre. Non è più l’economia in funzione dell’uomo, ma l’uomo in funzione dell’economia.
Il lavoro e le macchine
L’introduzione delle macchine ha senz’altro reso meno faticoso il lavoro dell’uomo, ma paradossalmente ha anche generato problemi all’interno di una società capitalista basata sul lavoro.
Come scrisse il politico e filosofo reazionario Louis Gabriel Ambroise de Bonald: Dovunque vi saranno molte macchine per sostituire gli uomini, vi saranno sempre molti uomini che non saranno altro che macchine.
Mentre il sociologo e psicoanalista Umberto Galimberti: È evidente che più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell’uomo: la liberazione dal lavoro si sta trasformando in un incubo.
Concetto ripreso dallo storico dell’arte Peter Bloch: Crescita economica si chiama quel processo in cui sempre più operai producono sempre più macchine che rendono disoccupati sempre più lavoratori.
Il lavoro ha sempre presentato un doppio volto: il lavoro inteso come altissima e nobile missione, vocazione insopprimibile; e il lavoro come alienazione.
Dio mi dia lavoro, finché la mia vita non si concluda; e la vita, finché il mio lavoro non sia finito, recita l’epitaffio della romanziera britannica Winifred Holtby.
Secondo Ezra Pound: In qualsiasi epoca, il vero lavoro viene svolto solo da quattro o cinque persone.
Mentre il teologo svizzero Maurice Zundel ricorda questo principio fondamentale: Il lavoro deve produrre uomini prima che cose.
Ma il lavoro può essere anche fonte di alienazione, come denunciava il ’68, cioè alienazione come perdita di sé stessi. Scriveva Ennio Flaiano: Credevo che un’officina comandata da operai fosse una cosa giusta. Poi ho capito che l’officina non è giusta in sé – che sia diretta da operai o da capitalisti è sempre un’officina, cioè un luogo di pena.
Il lavoro è anche quel luogo, quella circostanza nei quali le gerarchie sociali emergono in tutta la loro evidenza:
Quando vai al lavoro, se il tuo nome è sull’edificio sei ricco. Se ce l’hai sulla scrivania, fai parte del ceto medio. E invece se ce l’hai sulla camicia sei un poveraccio. (Battuta del comico americano Rich Hall)
Chi lavora stando seduto è pagato di più di chi lavora stando in piedi. (Il poeta statunitense Ogden Nash)
In un sistema gerarchico, il pagamento per ogni lavoro è inversamente proporzionale alla spiacevolezza e difficoltà del lavoro stesso. (Arthur Bloch)
Vi sono persone eclettiche che dimostrano grande versatilità nel lavoro.
Se Platone sosteneva che A praticare più mestieri, non si riesce bene in nessuno, secondo il dissidente sovietico Aleksandr Solzenicyn Chi ha imparato due mestieri, può impararne dieci. Esiste insomma secondo lo scrittore russo una predisposizione naturale al lavoro, un’inclinazione, più o meno sviluppata nel singolo individuo, a imparare a fare le cose. D’altra parte, come recita un proverbio cinese, non bisognerebbe mai fare più di un lavoro alla volta: Un buon cavallo non può montare due selle: un lavoratore coscienzioso non cerca di portare avanti due lavori nello stesso tempo.
Un ultimo aspetto. Il lavoro è stato, e ancora è, temiamo, in molte parti del mondo, uno strumento di controllo e coercizione sociali. Pensiamo soltanto a quello che furono il maccartismo in America, la Stasi nella vecchia DDR, il Berufsverbot nella Germania Federale, ecc., cioè la persecuzione degli oppositori non necessariamente tramite il carcere o la tortura, ma la disoccupazione forzata, e quindi l’umiliazione sociale:
Per uccidere un uomo, denuncia il meridionalista Pino Aprile, non serve togliergli la vita, basta togliergli il lavoro.
Concludo il discorso con alcuni aforismi sul mondo del lavoro oggi.
L’evo moderno è finito. Comincia il medio-evo degli specialisti. Oggi anche il cretino è specializzato. (Flaiano)
E a proposito del tramonto di tanti vecchi mestieri: Il lato negativo della globalizzazione è che spazza via interi sistemi economici e in tal modo spazza via anche la cultura che li accompagna. (Il sociologo americano Peter Berger)
La globalizzazione è stata per il capitalismo una tappa decisiva sulla strada della scomparsa di ogni limite. Infatti permette di investire e disinvestire dove si vuole e quando si vuole, in spregio degli uomini e della biosfera. (L’economista e filosofo Serge Latouche)
Non tutti, ma molti degli aforismi amari e sarcastici che seguono, sono tratti dal social network Twitter, sul quale Fabrizio Caramagna sta svolgendo da diversi anni un capillare e scrupoloso lavoro di selezione fra una massa sterminata di materiale in massima misura scadente.
Ho finito il mio periodo di prova lavorativo di 20 anni e mi hanno licenziato, dice che cercano gente più giovane.
Incredibile, in Italia ci sono imprenditori che offrono lavoro e non si presenta nessuno. Iniziassero a offrire anche uno stipendio.
In Italia con il lavoro siamo imbattibili, non ce n’è per nessuno!
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro “precario”. Il lavoro “mobilita”.
Festa dei lavoratori, come tutte le minoranze hanno anch’essi la loro giornata dedicata.
Sulle molestie sul luogo di lavoro: Il governo introduce il licenziamento a voce. Già sperimentata l’assunzione al tatto.
Sul precariato: Precaria di 63 anni ottiene la cattedra. Ma lei aveva chiesto la pensione.
Concludiamo questo breve discorso sul tema lavoro non con la frase di uno scrittore o di un intellettuale, bensì di un attore hollywoodiano, per quante riserve sia lecito nutrire su certo cinema americano. In un’intervista, parlando della propria professione, Warren Beatty disse: Hai raggiunto il successo nel tuo campo quando non sai se quello che stai facendo è lavoro o gioco. Una frase che compendia bene quello che il lavoro dovrebbe essere per tutti gli uomini.
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