Intervista a Lorenzo Morandotti

Intervista a Lorenzo Morandotti

lorenzomorandotti

1) Tra i molti generi letterari, cosa determina in te la predilezione per la “forma breve” e per l’aforisma in particolare?

La capacità di condensare e concentrare tanto senso in poco spazio.

2) Quando è avvenuto il tuo primo incontro “fatale” con l’aforisma?

Con la lettura della triade Canetti-Ceronetti-Cioran.

3) Quali sono stati i grandi aforisti della letteratura classica che più ti sono congeniali e che ti hanno eventualmente ispirato?

Devo rimandare alla risposta 2, e per obbligo di completezza ricordo qui la lunga amicizia con lo studioso di aforismi Federico Roncoroni e con lo scrittore Mario Marchisio.

4) Ritieni che la letteratura aforistica contemporanea, in Italia, abbia dei rappresentanti in grado di raccogliere qualitativamente l’eredità dei nostri maestri del passato?

Se così non fosse, e vale per ogni comparto della letteratura posto che abbiano ancora senso i comparti, potremmo tutti dedicarci proficuamente ad altro. Tutto sta a mettere in atto criteri congrui per distinguere grano e loglio.

5) A cosa ritieni sia dovuto il calo d’interesse verso l’aforisma, nei tempi recenti, da parte del mondo editoriale?

Concordo con Fabrizio Caramagna: “Credo che sia un discorso che riguarda il sistema editoriale nella sua complessità. Ormai i libri non sono più prodotti culturali ma oggetti di consumo”. Aggiungo al fenomeno il “caso” delle Formiche incazzate.

6) Esiste, a tuo avviso, una strada da percorrere perché l’aforisma torni a conquistare l’attenzione dei lettori, soprattutto quelli delle nuove generazioni? Quali azioni indicheresti?

Più di quello che egregiamente fa il sodalizio, obbligherei tutti gli autori a un bagno di umiltà: di Longanesi, di Cioran, ne nasce uno o forse due al secolo. Per il resto consideriamoci onesti dilettanti-epigoni. E non fossilizziamoci – lo diceva papà TRex al figlio dinosauro – confondendo l’aforisma con la freddura o con il guizzo poetico. è un’arte difficile e d’élite e di conseguenza per pochi ma che siano buoni. Anche qui concordo in pieno con Caramagna.

7) A tuo avviso, l’aforisma può e deve distinguersi dalle varie forme di comunicazione “veloce” oggi tanto in voga come il tweet, lo slogan, la battuta, ecc…)?

Direi che mai come ora è il suo imperativo categorico.

8) Ritieni che la Grande Rete possa aiutare la diffusione del buon aforisma o che, piuttosto, ne faciliti la degenerazione in forme superficiali e scorrette?

La rete amplifica tensioni e tendenze già in atto, va usata per le sue potenzialità e per quanto riguarda la scrittura è solo un mezzo non un messaggio.

9) Pensi che la tua esperienza personale, quale autore di aforismi, sia stata fonte di maturazione letteraria, intellettuale, umana? Altrimenti, può esserlo in qualche modo?

Scrivo perché non so fare altro.

10) Quali ritieni siano le migliori doti che deve avere un autentico aforista, oltre alla propensione per la sintesi?

Il pensiero, cosa che non alberga sovente nelle menti e nei cuori odierni.

11) Ti senti contrariato se un aforisma di tuo conio viene pubblicato in contesti di pubblica lettura senza che sia citata la sua paternità? In sostanza: secondo te dovrebbe davvero, un aforisma, essere – come sostiene Maria Luisa Spaziani – “cosa volatile, spontanea, che nasce come un fiore e non esige alcuna sigla di origine”?

Sull’autorialità si è già espresso Caramagna in modo autorevole. Concordo.

12) C’è una tua silloge, pubblicata o meno, alla quale ti senti più legato perché meglio ti rappresenta?

Ne ho pubblicate solo due e la prima era l’anticipo della seconda quindi la risposta è univoca: Crani e topi.